da San Marco » domenica 22 luglio 2007, 17:39
Ecco alcune note sul " significato " dell' Arma dei Borromeo:
< Prima di chiudere daremo qualche informazione sullo stemma, il quale, come è noto, è costituito dalle onde marine, dall’humilitas, dalle trecce o capelli biondi, dai tre anelli, dal freno, da tre fasce rosse e tre verdi attraversate da una bianca, dal cammello, dal cavallo marino.
Le onde marine, antichissime nello stemma Vitaliani e già adottate dai Borromeo in Svevia, furono rese comuni alle due famiglie (1400 circa) dal Borromeo Borromeo fratello della Margherita Borromeo che sposò il Giacomino Vitaliano e il di cui figlio Vitaliano si fece poi chiamare Borromeo, come abbiamo più sopra accennato.
Il cavallo marino fu aggiunto allo stemma nel 1445, allorché il feudo di Arona fu eretto in contea, a favore del conte Vitaliano Borromeo già Vitaliani e suoi discendenti. L’aggiunta venne così prescritta dal duca concedente: «Arma hoc in mandato et margine medio depicto videlicet unicorneum unum album in campo rubeo positum erectum , cum fasciolo ad collum et corona circa collum. Insigne nostrum viperae in campo albo rotundo circumquaque radiato suspicientem».
Il freno fu introdotto dal conte Giovanni Borromeo di Filippo, che visse dal 1439 al 1495, così essendo dichiarato anche dal Corio.
In una memoria d’archivio leggesi: «Per il morso fu che un tale conte dei Vitaliani Vitagliano era nel castello di Cannero, dominò molti svizzeri che volevano invadere lo stato di Milano». Altri dicono che l’origine dello stemma col morso fu che una volta un Borromeo e un Confalonieri erano al morso della chinea della Regina Infante quando fece l’entrata in Milano. Siccome poi fu l’accennato Giovanni Borromeo che domò gli svizzeri, così riteniamo attendibile la prima versione.
L’Humilitas sarebbe stata antichissima, ché la si vorrebbe far risalire fino a Federico Barbarossa, figlio di Federico Vitaliani, duca di Svevia, poi imperatore, il quale portò l’armi contro le città d’Italia e fu quello che umiliato si prostrò ai piedi del pontefice Alessandro III. Questo atto di umiliazione fu ricordato in una moneta nel cui rovescio eravi la sua effigie e sul diritto la parola “Humilitas”.
Qualcuno vorrebbe attribuirla a san Carlo, ma ciò non è, ché la troviamo impressa nel diploma 27 aprile 1445 col quale il duca Filippo Maria Visconti fece mandato nel governatore Francesco Piccinino per il conferimento della contea d’Arona a favore del conte Vitaliano Borromeo. È quindi anteriore alla nascita di san Carlo. Altri ritennero che l’Humilitas provenisse dal feudo di Bra e Cherasco donato dal duca al conte Vitaliano nel 1442. Noi che abbiamo consultati i relativi documenti non possiamo confermare tale fatto, ché il diploma di conferimento del feudo tace a tale riguardo.
Il cammello prostrato che tien sul dorso una corona ed un cimiero di piume lo si attribuisce al Vitaliani Giacomo che sposò la Margherita Borromeo e che tutto consumò. Un manoscritto d’archivio così ci conferma: «Il cammello in un cesto, fu un conte de’ Vitaliani, che stava in Padova e consumò tutte le sue entrate e in quel tempo era in Milano un suo zio ricco e poderoso (conte Giovanni Borromeo). Pensò il conte de’ Vitaliani a vendere tutto il poco rimanente e radunò molti muli, con gualdrappa e sopra dipinte e risolvè venire a Milano; sebene il zio aveva ricusato alle sue richieste, e giunto in Milano all’hora di pranzo, le camarieri vedendo tanti muli e strepito corsero alle finestre e videro sì bella mostra del convoglio e subito rapresentarono al sig. conte Borromeo che vi era un grande convoglio, con un grande signore, che diè l’ordine d’andarlo ad accettare, e farlo entrare, e gionto si gietò a’ piedi il suddetto sig. conte dei Vitaliani al sig. conte Borromeo, e cominciò a supplicare e piangere e alzato fu interogato cosa significavano quelle coperte dipinte, esso rispose prontamente che il Camelo ristretto in quel cesto significava la povertà del conte nipote. Piacque l’espressione e fu accettato e ben mantenuto».
Altra memoria, pure in archivio, ci dice: «Giovanni Vitaliani fu il primo che fu nominato Borromeo e fu quello che alzò quest’impresa, volendo alludere ch’egli giacea, come quell’animale, pronto alla servitù, ed all’obbedienza che doveva al zio re di Padova, sperando di essere dalla sua pietà sollevato alla corona ed agli onori che gli doveva. Conseguì il fine dei suoi voti e nell’armi dei posteri restò quell’impresa coll’altre dei loro maggiori».
In un altro manoscritto leggesi: «Il cammello con la corona sopra il dorso, penacchiera e cimiero antico di casa Borromeo usato particolarmente dal c. Vitaliano vecchio, e tale si vede dipinto nella casa sua a S. Maria Podone, nella rocca d’Arona, nella torre del Castello, ma ancora in altri castelli fabbricati da lui, e si è introdotto solo dal conte Lodovico secondo in qua il dipingere quest’arma». Questo Lodovico è il fondatore dei Castelli di Cannero detti Vitaliana».
I tre anelli vuolsi che rappresentino le tre case Sforza, Visconti e Borromeo, che, disunite, si ricongiunsero mercè matrimoni, con che pare si sia voluto giustificare il motto: “unione inseparabile”. All’incontro in un manoscritto esistente in Archivio leggesi: «Le tre anella gli furono donate da Filippo Maria Sforza Visconti duchi di Milano in premio dei continui ossequii, costante fede, singolare amore ed indefesse fatiche sostenute dai Borromeo per difesa delle signorie e stati loro».
In un altro manoscritto del prete Domenico Zonca, del 1750, a riguardo dei tre anelli è detto: «Tres aurei annuli quos huius familie insignibus Franciscus I dux Sfortia iunxit, immortale eiusdem principis amoris in Borromaeos pignus, eorumque fidelitatem et constantiam exprimunt».
Le trecce. In una memoria manoscritta è detto: «Vi sono anche alcune chiome di biondi capegli volanti, mostrando così che santa Justina martire (Vitaliani) col proprio sangue nobilitò il casato Borromeo».
Un’altra memoria dà questa versione: «Li duoi serpi, che molti credano, sono due trezze de’ capelli di santa Giustina quando ricevette il martirio».
Il prete Zonca, nel suo manoscritto riguardante la famiglia Borromeo, all’anno 1750, scrisse: «Comae ad celebrandum S. Justinae triumphi memoriam et tres fasciae virides, rubeae, albaeque transversae ad Sveviae familiam Bon Romanam olim Vitalianam pro insignibus assumpta fuere. Stemma posterius Sveviae ducum erat, quo ab Henrico IV imp. Federicus Bonromanus eius gener donabatur. Melchior Goldastus scriptor veridicus rerum Sveviae id refert».
Dello stesso parere è il padre Seregni nella sua opera “Elogium illustrissimae familiae Borromaeorum”.
Nel presentare questo nostro lavoro, al quale ci siamo dedicati con amore e confortati dalla soddisfazione di aver potuto occuparci di una famiglia sì illustre e sì benemerita, saremo lieti se avremo raggiunto lo scopo che ci eravamo prefisso di rendere un tributo di stima e di devozione all’illustre famiglia stessa, ed in ispecial modo all’ill.mo signor conte Giberto Borromeo, che ci fu largo della sua benevolenza e della sua fiducia e che ci lasciò tutto il tempo necessario perché il lavoro avesse a riuscire possibilmente rispondente alla sua importanza >.
Ricopiato fedelmente sul manoscritto originale
dell’archivista Pietro Canetta.