da .Paolo. » venerdì 19 agosto 2011, 18:31
Lasciando perdere la Fons honorum e il diritto araldico degli altri stati o il diritto araldico prerepubblicano,
mi sembra piuttosto pacifico che i tribunali italiani possano accertare l'esistenza di un predicato che fa parte del nome (predicato cognomizzato).
Non è un riconoscimento nobiliare, non è un riconoscimento che proviene da una Fons honorum, ma è pur sempre un riconoscimento di un nome che vale per la legge italiana repubblicana e che può avere comunque il significato della tutela del cosiddetto diritto al nome che esiste anche nella legge Repubblicana.
Non discuto che poi questi riconoscimenti possan essere disdegnati o non riconosciuti o non riconoscibili in altri ordinamenti, ma per quello italiano repubblicano valgono, nel senso della tutela del diritto individuale al nome, ovviamente non nel senso della tutela di un diritto individuale al titolo nobiliare.
Se si nega questa premessa e non la si da per pacifica allora si stà facendo del massimalismo ideologico.
Cito a questo proposito un passo di una sentenza di Cassazione civile sezione I del 07 novembre 2007, n. 10936
"" È noto che l'art. XIV disp. fin. Cost., dopo aver affermato, al primo comma, che i titoli nobiliari non sono riconosciuti - vale a dire, che essi sono giuridicamente irrilevanti nell'ordinamento giuridico italiano (cfr. Corte cost.le sent. n. 101 del 1967, n. 4 del Considerato in diritto, nonché Cass. n. 2426 del 1991): e ciò, in consonanza con l'affermazione, costituzionalmente irreversibile, sia dal principio repubblicano (artt. 1 comma 1 e 139 Cost.), sia del principio di eguaglianza (art. 3 comma 1 Cost.; "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione....di condizioni personali e sociali") - stabilisce, al secondo comma, che i "predicati" dei titoli nobiliari esistenti prima del 28 ottobre 1922 "valgono come parte del nome".
Se al diritto al (mantenimento del) nome - sia che lo si restituisca come diritto autonomo, sia che lo si consideri come "profilo" del diritto all'indennità personale (cfr. Corte cost.le ord. n. 176 del 1988 e sent. n. 13 del 1994, nonché Cass. nn. 3769 del 1985 e 978 del 1996) - è comunque garantito costituzionalmente lo statuto dell'inviolabilità, in quanto primario segno distintivo della persona, relativamente a se stessa e nei rapporti interpersonali e sociali, e, quindi del soggetto giuridico che con essa si identifica (artt. 2 e 22 Cost; v. anche artt. 7 comma 1 - secondo cui, fra l'altro, il fanciullo è registrato immediatamente al momento della sua nascita e da allora ha diritto ad un nome - e 8 comma 1 - secondo cui, fra l'altro, gli Stati Parti si impegnano a rispettare il diritto del fanciullo, a preservare la sua identità, ivi compreso il suo nome - della Convenzione sui diritti del fanciullo, resa esecutiva in Italia con la l. n. 176 del 1991); se nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome (art. 22 Cost.); e se, d'altro canto, il Costituente ha ritenuto di negare, per le ricordate, fondamentali scelte di valore, ogni rilevanza giuridica ai titoli nobiliari (art. XIV comma 1 disp. fin. Cost.); ne consegue che - interpretando l'art. XIV comma 2 coerentemente con tali premesse - "i predicati" di titoli nobiliari (purché "esistenti" prima del 28 ottobre 1922 e riconosciuti prima dell'entrata in vigore della Costituzione; e, in quanto veri e propri elementi di individuazione e di identità della persona, a queste condizioni) "cognomizzati" fanno parte del nome, e, soltanto come "parte" (il cognome appunto) di esso "valgono" (sono, cioè, validi ed efficaci) nell'ordinamento. Tale "incorporazione" del predicato di titolo nobiliare "cognomizzato" nel nome, essendo stata costituzionalmente sancita (anche, ma soprattutto) in ossequio al principio di eguaglianza, comporta d'altro canto, che il predicato medesimo, nell'ordinamento giuridico italiano, non può "valere di più", in quanto tale, di quel che "valgono" le "ordinarie" parti del nome e, più specificamente, del cognome "ordinario" (art. 6 comma 2 cod. civ.); e ciò in quanto, altrimenti opinando, resterebbe frustrata la equilibrata ratio emergente dal combinato disposto dei primi due commi dell'art. XIV Cost.: da un lato, l'abolizione giuridica - mediante il "non riconoscimento" dei titoli nobiliari - di privilegi derivanti dalla nascita o dall'appartenenza ad una determinata classe sociale; dall'altro, la riaffermazione del valore del "nome" come fondamentale diritto inerente alla indennità della persona in quanto tale, con la conseguente assimilazione, quanto a "valore" giuridico, del predicato di titolo nobiliare "cognomizzato" al nome e, quindi, di entrambi sul piano della tutela giurisdizionale. ""
Proprio perchè io non sono un massimalista dico anche che scendendo dal piano astratto della tutela del "diritto al nome" al piano concreto della legge processuale civile italiana e della ricerca della prova, non mi pare che ci sia tanto spazio su questo piano per le ragioni dell'analisi storica, il processo civile italiano e il diritto civile italiano secondo me sono troppo eredi delle codificazioni napoleoniche francesi..più versate a tutelare gli interessi commerciali di banche ed assicurazioni che non all'analisi pro veritate di tutte le altre faccende della vita, magari di interesse proprio solo piccolo-borghese (non solo quelle del diritto al nome)..Non a caso chi dice adesso che il processo civile in Italia è efficiente e funziona? Basti guardare ai casi in cui è ammessa la revocazione straordinaria di una sentenza civile in Italia.ex art 395 c.p.c numeri 1,2,3,6,...casi eccezionali che non centrano tanto con l'amor di verità ma che sembrano ancora rinviare a una mentalità da controversie cartolari per debiti o crediti di valuta...o ad evidenze teatrali melodrammatice ben difficili da dimostrare. Basti guardare a tutte quelle sentenze di lavoro che vengono appellate col motivo che il giudice di primo grado non ha esercitato i poteri ufficiosi di ricerca della prova ex art 421 c.p.c.. Basti pensare alla consueta diffidenza che hanno parecchi avvocati per le prove documentali (perchè c'è troppo da leggere) e all'eccessiva fiducia nutrita dai causidici e dallo stesso legislatore nella prova orale rispetto alla quale il codice di procedura civile riserva ben poche regole o meccanismi di controllo dell'attendibilità.