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Tilius ha scritto:Sotto ancora un inquartato ondato + nave (se l'ondato ricorre spesso nell'araldica sforzesca - credo risalga al capostipite Francesco - meno chiara m'é la barchetta ).
carla monchiero ha scritto:Ho condotto una lunga e approfondita ricerca su quello stemma e spero di essere utile nel comunicare le conclusioni conseguite.
Lo stemma della famiglia Sanseverino è certamente su campo argento e non oro come palesemente compare nella miniatura che è riprodotta, e sempre argento è rimasto; non risulta che abbia mai subito cambiamento. Tale stemma compare esattamente sempre su campo argento negli stemmari ed è un dato certo( ricordo il Cremosano, Bosisio, Trivulziano, Ciacconio, Scorza, Héraldique-Armorial de J.B.RIETSTAP et ses Compléments ed altri sufficientemente affidabili). Il numero e la disposizione delle stelle sugli stemmari consultati variano continuamente e pertanto il dato non fa fede; in alcuni stemmari le stelle sono perfino sulla fascia. La miniatura poi ha sfondo stellato e dissemina stelle per cui, come succedeva spesso, hanno valore simbolico e fanno capo all'estro decorativo. Uno studio approfondito della miniatura conservata a Varsavia che pubblicate è stato compiuto da Bogdan Horodyski e l'ha attribuita alla discendenza di Gian Galeazzo Sforza; e infatti l'impresa che vi compare replicata ben due volte, ovvero il "buratto" col motto TAL A TU QUAL A MI, fu creata da Galeazzo Maria Sforza, ed era esclusiva di suo figlio Gian Galeazzo. Era personale, non come invece risulta per i tre anelli incrociati con diamante, concessi dagli Sforza a molte famiglie e di uso pure mediceo.
Così come è certamente di fantasia lo stemma con le navi, posto alla base, (in quanto ibrida l'impresa sforzesca delle "onde montanti" con la nave e l'acqua presenti nella miniatura del Birago di Parigi, pure dedicata a Gian Galeazzo Sforza), anche lo stemma di cui trattasi, che si trova nella parte sovrastante la stessa fascia miniata, secondo l'analisi di Horodyski è di fantasia, rappresentando gli emblemi araldici congiunti della città di Milano (metà della croce dei Crociati in uso al ramo fondativo Visconti prima del Biscione) e della famiglia degli Aragona (parte dello stemma d'oro a quattro pali di rosso degli Aragona) in onore della vedova Isabella d'Aragona, alla cui discendenza era dedicata l'opera miniata. La fusione rimanda simbolicamente all'origine delle due dinastie congiunte in matrimonio e ai figli a cui era destinata la miniatura. Inoltre le iniziali "GZ", in base alla tradizione viscontea, contraddistinguono i due Galeazzo padre e figlio (anche l'avo Gian Galeazzo Visconti sulle monete compariva come Galeaz e con le iniziali "GZ", e "GZ" campeggia sulla bandiera del duca di Milano Galeazzo Maria e compare ovunque nelle raffigurazioni ufficiali a identificarlo). La miniatura (datata successivamente al 1494) era dedicata alla memoria dei due duchi, Galeazzo padre e figlio, entrambi defunti, ed aveva valore politico avverso al duca Ludovico il Moro visto come usurpatore (raffigurato nella scenetta alla base come un grottesco putto moro nudo contornato da putti cortigiani in armi). Con il "buratto" e relativo motto - creato dal duca suo padre - Gian Galeazzo Sforza compare sul Cassone dei tre duchi del castello sforzesco di Milano, e sul cassone le armi sono identiche a quelle riprodotte sulla miniatura in questione (la spada, la faretra, che si intravvede sporgere in basso dietro la schiena dei tre duchi, e lo scudo tondo portato dai servitori).
Il fatto che l'immagine dello stemma di Trento di Roberto abbia forma analoga a quella che compare nella miniatura non ne autorizza di per sé identificazione, dato il contesto delle imprese e dei simboli che nella miniatura del Birago attornia quello stemma - per giunta su campo oro - e data la vicenda storica della famiglia Sforza a cui fa capo. Le somiglianze formali non comportano automaticamente identificazione, tanto più che nel caso specifico differisce la variabile essenziale del campo oro anzichè argento. La miniatura del Birago era ufficiale e quindi doveva rispettare le regole e la tradizione, e non è pensabile che l'artista potesse fare modifiche sostanziali a piacimento. Pertanto si tratta di uno stemma di fantasia, ugualmente agli altri due posti sulla stessa fascia verticale miniata: cioè quello posto alla base con le navi, e quello al centro retto dai due putti vestiti di pelle d’animale con il “buratto” e il relativo motto.
Invece con assoluta certezza si può vedere lo stemma di Roberto Sanseverino e famiglia sull'incunabolo della “Divina Commedia” col commento di Cristoforo Landino pubblicato a Venezia nel 1491 da Pietro Cremonese, conservato presso la Casa di Dante in Roma. Le raffigurazioni sulla stessa, dopo una precedente attribuzione al frate domenicano Pietro da Figino, sono ora attribuite all’umanista veneziano Antonio Grifo (Venezia, 1430 ca.-1510 ca.), che fu intimo amico di tutti i membri della famiglia Sanseverino durante il suo soggiorno milanese presso la corte sforzesca. L’incunabolo è dedicato a Gaspare Sanseverino, detto Fracasso. In una pagina dove si trova il canto XVII del Paradiso compare lo scudo di Roberto e famiglia ed è simile a quello del Birago, ma inequivocabilmente su fondo argento, nell'osservanza della tradizione e nel rispetto della casata. Inoltre il cavaliere che lo sorregge, regge anche un cartiglio col motto “NOSTRO E' IL MESTIERE”, che evidentemente è il motto della famiglia dei condottieri Sanseverino, che quindi a rigore avrebbe dovuto comparire anche nella miniatura del Birago unitamente allo stemma in questione (mentre invece là compare il motto TAL A TI QUAL A MI del “buratto”, impresa propria di Gian Galeazzo Sforza, raramente di uso famigliare). Per concludere possiamo ritenere con Horodyski che lo stemma sulla miniatura del Birago – al pari degli altri due sottostanti la medesima fascia miniata – sia di fantasia, mentre possiamo essere certi che lo stemma del Grifo nell'incunabolo della Casa di Dante in Roma è lo stemma di Roberto Sanseverino e famiglia (così pure il motto “NOSTRO E' IL MESTIERE”) , dato che il Grifo era amico intimo di tutti i Sanseverino e pertanto facente fede nel riprodurre il loro stemma, che infatti è rigorosamente su campo argento.
Carla Monchiero
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