Stemma Estense

Per discutere sull'araldica / Discussions on heraldry

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Stemma Estense

Messaggioda AndreaSperelli » venerdì 20 agosto 2010, 0:24

Gentili Amici,

vorrei un vostro parere sul seguente stemma di Casa d'Este:

Immagine

sicuramente si tratta di uno stemma precentede a quello di Ercole III d'Este, anche se non risco a capire a chi possa appartenere (probabilmente risale al XVII secolo). La cosa che mi incuriosisce è la corona, infatti non si tratta di una corona ducale (ricordiamoci che Modena era un Ducato), ma pare più una corona marchionale considerando i tre fioroni visibili...strane però quelle "punte" che ogni tanto si intravedono. Esattamente che tipo di corona pensate sia rappresentata ?

Grazie,
A.S.
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Re: Stemma Estense

Messaggioda bardo » venerdì 20 agosto 2010, 1:27

Lo stemma deve essere precedente al 1741, mancando la banda scaccata d'argento e d'azzurro (arma dei Cybo-Malaspina, aggiunta in seguito al matrimonio di Ercole III con Maria Teresa Cybo-Malaspina) attraversante il palo di rosso con le chiavi e la tiara; e comunque posteriore al ducato di Alfonso I (m. 1534, quando le chiavi di San Pietro iniziarono ad essere sormontate dalla tiara pontificia), anche perchè lo stemma credo sia più tardo, benchè non sia un esperto.
Certo intercorrono 200 anni, forse però la presenza del Toson d'Oro può aiutare ad una più mirata attribuzione (o forse no :D ).

saluti ;)

Luca
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Re: Stemma Estense

Messaggioda Franco Benucci » venerdì 20 agosto 2010, 13:36

Modena era un ducato (e così Ferrara e Reggio), ma gli Este erano marchesi fin dall'alto medioevo
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Re: Stemma Estense

Messaggioda Tilius » venerdì 20 agosto 2010, 13:43

bardo ha scritto: (o forse no :D ).

saluti ;)

Luca


Buona la seconda. I Principi di Casa d'Este sono più quelli che il Tosone l'hanno avuto che non quelli che ne furono privi.

Dove si trova questo bello stemma?

Questo genere di manufatti (il presente sembra dipinto - a olio? - su tela sagomata ovale) é sempre molto difficile da datare sulla sola base stilistica del ductus pittorico, ché le regole dell'araldica impongono tipologie e stilemi abbastanza avulsi da quella che é la moda pittorica corrente.

Attardarsi di eleganze tardomanieriste o piuttosto un linguaggio già barocco e di orientamente un poco tenebrista?

Ma forse l'impressione generale piuttosto scura é dato dallo stato di conservazione non ottimale e dalle molte ridipinture cui questa tipologia di dipinti "da parata", diciamo così, erano sottoposti periodicamente per mantenerli "freschi" (anche se poi, sul lungo termine, questi "restauri" ottundevano irrimediabilmente la superficie pittorica, con effetto opposto a quello che ci si prefiggeva).

La corona, che ha dei gigli più che dei fioroni, era quella comunemente usata dagli stati ducali italiani (ad esempio, i Gonzaga o i Fanese nei loro stemmi avevano corone assai simili a questa)fra '500 e '600, quando le regole che codificarono la tipologia delle corone non erano così ferre come in seguito divennero.
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Re: Stemma Estense

Messaggioda Tilius » venerdì 20 agosto 2010, 13:45

Franco Benucci ha scritto:Modena era un ducato (e così Ferrara e Reggio), ma gli Este erano marchesi fin dall'alto medioevo


Sì, be', certo, é vero, ma questa corona é ducale. ;)
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Re: Stemma Estense

Messaggioda San Marco » sabato 21 agosto 2010, 7:35

Ringrazio per aver immesso un interessante argomento storico-araldico che mi ha incuriosito.
Ho iniziato a rivedere la storia degli estensi partendo da http://it.wikipedia.org/wiki/Este
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Re: Stemma Estense

Messaggioda bardo » martedì 11 ottobre 2011, 15:36

Ecco una matrice xilografica rappresentante lo stemma estense (post 1741) conservata presso i Musei di Palazzo dei Pio, a Carpi:

Immagine

Che decorazioni sono quelle ai lati dell'arma?

un saluto ;)
Luca
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Re: Stemma Estense

Messaggioda Tilius » martedì 11 ottobre 2011, 18:22

Nessuna delle tre decorazioni é associabile ad un'ordine dinastico (la casa d'Este ne sarà notoriamente priva insino a '800 inoltrato).
Al centro é ben riconoscibile il Toson d'Oro.
A destra (stampando in positivo la matrice diventa anche "destra araldica") si intuisce un raffazzonatissimo Saint-Esprit (si intravedono anche delle "H" sul collare).
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Re: Stemma Estense

Messaggioda Tilius » martedì 11 ottobre 2011, 18:47

Ammesso che sia uno stemma ducale, Francesco III poteva fregiare il suo stemma del plug-in Cybo-Malaspina grazie al matrimonio del figlio?
L'alternativa é che sia lo stemma di Ercole III (ergo post 1780).
Sia come sia, entrambi erano cavalieri del Toson d'Oro ed entrambi pure del Santo-Spirito.
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Re: Stemma Estense

Messaggioda Tilius » martedì 11 ottobre 2011, 19:00

A giudicare dalla tripletta di collari, direi Ercole III.
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Fonti numismatiche asseriscono Ordine di Maria Teresa (cui in effetti, vagamente, somiglia).
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Re: Stemma Estense

Messaggioda gattovalois » lunedì 24 ottobre 2011, 19:13

"L'alternativa é che sia lo stemma di Ercole III (ergo post 1780)"
Ercole III usava il suo sigillo anche prima del 1780...
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Re: Stemma Estense

Messaggioda Adeodato Malatesta » martedì 18 dicembre 2012, 22:56

A proposito di questo stemma estense, si segnala la sua pubblicazione in questo saggio, di cui si riporta la trascrizione:

Acc. Naz. Sci. Lett. Arti di Modena
Atti e Memorie
Ser. VIII, v. XV (2012), fasc. I, pp. 187-203.

Luca Silingardi
UN INEDITO STEMMA DI CESARE D’ESTE


ABSTRACT
Heraldic elements, as well as historical and figurative ones, helped to
identify a previously unknown blazon as belonging to the Duke Cesare.
An oil painting on an oval canvas (held at the G. Ronchi institute
of Monteombraro, Zocca), it constitutes one of the most interesting
testimonies expressed by the d’Este court in its early years in
Modena. In fact, from a reading of the heraldic elements, the ante
quem term of the blazon appears to be 1615 and the post quem 1605,
if not indeed 1604, date which refers to the conferral to Cesare of the
Golden Fleece by Philip III of Spain. Its quality is such that a ducal
commissioning may be hypothesised, as an oval to be set into the ceiling,
perhaps in a stucco cornice. Links cannot be excluded with the
renovation works of the d’Este Castle in those same years, in which
works were carried out by figures such as Ercole dell’Abate, a wellknown
maestro of the local late Mannerist style. But even without attempting
to attribute the work to a specific figure, the blazon appears
to be an eloquent representation of late Modenese Mannerism, as also
shown by the style of the ‘cornice’ of putti which surrounds it.


A margine degli studi sulla figura di Cesare d’Este, suggeriti
dall’acquisizione del suo splendido Ritratto da parte dell’Accademia
Nazionale di Scienze, Lettere e Arti di Modena, si rende noto un inedito
e importante stemma di questo duca, di recente individuato presso l’Istituto
Giuseppina Ronchi di Monteombraro di Zocca (1); si ritiene,
infatti, che gli aspetti araldici, ma anche artistici e storici, di
quest’opera possano contribuire a una più approfondita conoscenza di
quei primi anni modenesi della corte estense.
Stilisticamente attribuibile all’ambito modenese dei primi anni del
Seicento, come si avrà modo di precisare oltre, lo stemma è così blasonabile:
inquartato, nel 1° e nel 4° d’oro all’aquila bicipite di nero,
membrata, rostrata e coronata sulle due teste del campo, nel 2° e nel 3°
d’azzurro a tre gigli d’oro, disposti 1 e 2 nel 2° e 2 e 1 nel 3°, con bordura
indentata d’oro e di rosso, al palo della Chiesa, che è di rosso alle
chiavi di San Pietro decussate con gli ingegni rivolti verso l’alto, una
d’oro e l’altra d’argento, sormontate da una tiara pontificia d’argento
con le corone d’oro; sul tutto uno scudetto d’azzurro all’aquila d’argento
a volo abbassato, membrata e coronata d’oro (2). Lo scudo è timbrato
da un’aquila posta sotto una corona ducale ed è decorato
dalle insegne del Toson d’oro.
Naturalisticamente restituita, l’aquila che timbra lo stemma e che lo
sorregge con gli artigli, visibili nella parte inferiore dello scudo, si volge
con la testa verso sinistra, circondata da putti; i tre alla sommità sollevano
sopra di essa la corona ducale, gemmata, che alterna fioroni –
o meglio gigli – a punte, mentre altri quattro putti, due per lato, reggono
attorno allo scudo il Collare del Toson d’oro. L’ambitissima onorificenza,
conferita dalla Casa d’Austria, è restituita con acuta precisione,
ben distinguendosi gli acciarini in oro – un tempo detti “focili” – accostati
alle gemme che rappresentano le pietre focaie da cui scaturiscono
scintille, in forma di fiammelle; in basso pende la pelle d’ariete, il “tosone”,
allusivo al Vello d’oro del celebre mito di Giasone e degli Argonauti.
Lo stemma ducale si presenta, come si vedrà, solo in parte
nell’iconografia adottata da Ercole II d’Este negli ultimi anni del suo
governo, dal 1557 al 1559; a Ercole, infatti, spetta l’introduzione della
corona ducale e del collare di un ordine cavalleresco, che in origine era
il Collare di San Michele, concesso dal re di Francia nell’ambito
dell’alleanza estense con questo sovrano. Questa iconografia
sarà quindi ripresa dal suo successore Alfonso II, regnante fino al 1597,
con il quale si sarebbe conclusa la linea diretta degli Este di Ferrara,
forse con l’unica aggiunta, che con il successore Cesare diventerà
quasi una costante, dell’aquila – o mezza aquila – che viene a timbrare
lo scudo al di sotto della corona ducale, come sembra testimoniare
un frontespizio del 1586 (3). Come è noto, ad Alfonso II subentrò
Cesare, figlio di Alfonso, del ramo cadetto dei marchesi di Montecchio,
e quindi non riconosciuto da papa Clemente VII come legittimo
feudatario della Chiesa. Salito al trono il 28 ottobre 1597, Cesare si
vide di lì a poco costretto, dopo le “convenzioni faentine” del 12 gennaio
1598, ad abbandonare l’avita capitale e a cedere Ferrara, Comacchio
e la Romagna estense allo Stato pontificio, ripiegando sui feudi imperiali
di Modena e Reggio, e fissando la sede della sua corte nella prima
città, ove giunse il 28 gennaio 1598 (4).
Tornando all’araldica, se si esclude l’ovvia eliminazione della decorazione
dell’ordine di San Michele, che, contrariamente a Ercole II e ad
Alfonso II, Cesare non ricevette mai, sino al 1615 lo stemma estense
non registra immediatamente la nuova situazione politica; solamente
dopo quell’anno, in sostituzione della tiara pontificia, l’inquartato
ostenta nel palo della Chiesa la basilica, un gonfalone pontificio
costituito da un’ombrella a spicchi d’oro e di rosso alternati.
A motivare tale variante, Angelo Spaggiari argomenta, nel suo basilare
studio sull’araldica estense, che Cesare abbia voluto registrare la devoluzione
di Ferrara levando l’originaria tiara e introducendo in suo luogo
l’ombrella simboleggiante il gonfalonierato della Chiesa, concesso ai
marchesi di Ferrara da Urbano V con diploma del 3 aprile 1368. Ma già
con Alfonso III, figlio e successore di Cesare, che governò per poco più
di otto mesi, fra il 1628 e il 1629, e con il figlio di lui Francesco I, regnante
dal 1629 al 1658, l’ombrella verrà eliminata a favore del ripristino
della tiara.
Dunque la tela raffigurante lo stemma dovrebbe avere come terminus
ante quem
il 1615, anno dell’introduzione dell’ombrella basilicale,
mentre quello post quem potrebbe essere fissato nel 1605, anno in cui
nelle lettere patenti di Filippo III re di Spagna del 12 marzo, Cesare è
incaricato di consegnare il Collare del Toson d’oro al marchese Carlo
Filiberto d’Este di San Martino, appunto in veste di «confrère de notre
ordre». Ma il termine potrebbe addirittura risalire all’anno precedente,
quando Giambattista Spaccini, funzionario della corte di Modena, registra
nella sua Cronaca, sotto la data del 19 ottobre 1604: «par s’aspetti
l’ordine del Tosone» (5); e ancora, nel successivo 22 ottobre: «viene uno
spagnolo con l’Ordine del Tosone che lo porta a Sua Altezza, e potrìa
essere qui fra 15 dì incirca» (6). L’accettazione della prestigiosa onorificenza
sanciva la netta oscillazione del ducato estense verso l’asse Spagna-
Impero, peraltro motivata dal fatto che Modena e Reggio erano
feudi d’investitura imperiale; la conseguenza era l’allontanamento
dall’orbita della Francia, con ripercussioni sullo scacchiere politico anche
europeo, come sottolineavano due «baroni francesi» all’epoca presso
la corte di Modena; costoro infatti, riporta Spaccini, avevano «avvertito
sua Altezza che guardasse come facesse per pigliar il Tosone col
obligarse a Spagna, che per detto Ordine levano la libertà a principi per
farsegli sogietti…» (7).
Il conferimento del Toson d’oro al duca Cesare dovette poi esser ufficializzato
con la solenne cerimonia pubblica che l’annalista settecentesco
padre Francesco Ignazio Papotti di Mirandola così descrive, sotto
l’anno 1605, traendone notizie da fonti coeve:
Giunse in questo mentre un gentiluomo Spagnuolo da parte del re con
due collane del Toson d’oro, una pel serenissimo duca di Modena,
l’altra per il principe della Mirandola, già promesse loro dacché aderirono
entrambi alla di lui alleanza, protezione e servigio; per il che invitatovi
il signor principe di Guastalla don Ferrando – scil. Ferrante – di
far la cerimonia di darvi ad entrambi l’ordine, fece S.A. di Modena
apparare regiamente la chiesa di S. Pietro e dispor ogni cosa spettante
alla funzione. (…) Arrivato il signor principe di Guastalla con moltissimi
gentiluomini benissimo all’ordine, e gente di servizio al numero
di cinquecento il dì 18 Ottobre, giorno di S. Luca, andati tutti con
moltissimi signori alla riferita chiesa di S. Pietro, ove da quel P. Abate
cantata solenne messa dello Spirito Santo a più cori di scelta musica,
il principe di Guastalla fece la cerimonia di porre la collana al serenissimo
duca di Modena e all’eccellentissimo principe della Mirandola
con grandissimo concorso di tutta la città e forestieri, che parve
un dì de’ più solenni che si vedesse in quella città, per essere chiuse
tutte le botteghe e negozi per godere di quella funzione (8).
Oltre al Toson d’oro, l’altra caratterizzazione di questo stemma consiste
nell’aquila che, come si è scritto poc’anzi, a partire dal ducato di
Cesare viene a timbrare lo scudo sotto la corona ducale in modo pressoché
costante (9): una grande aquila nera che sembra emulare, in un ossequioso
omaggio, l’araldica del Sacro Romano Impero, dove un’aquila
nera, ma bicipite, accollava lo scudo imperiale. Per inciso, da Francesco
I in poi l’aquila diverrà la bianca aquila estense, come la rappresentano
i grandi stemmi sui due stendardi illusionisticamente affrescati al centro
delle pareti minori nel Salone delle Guardie nel Palazzo Ducale di Sassuolo,
fra il 1647 e il 1648, e quindi pochi decenni più tardi, da Angelo
Michele Colonna e da Agostino Mitelli, coadiuvati da Gian Giacomo
Monti e da Baldassarre Bianchi (10).
Lo stretto nesso fra l’aquila estense e il Toson d’oro, così evidenziato
nell’ovale, si rinviene anche nel Ritratto di Cesare d’Este dell’Accademia
Nazionale di Scienze, Lettere e Arti di Modena, databile all’inizio
del terzo decennio del Seicento: in questo splendido “ritrattostemma”
– felice definizione coniata da Federico Zeri che ben coglie
l’emblematicità di questa iconografia tipica della “ritrattistica internazionale”,
il cui fine era l’omologazione totale dell’immagine umana allo
stemma o all’emblema (11) – il vello o tosone pende dal Collare, appeso
a una breve catenella, proprio sotto l’aquila al volo abbassato – con
penne pendenti – e coronata che decora il petto della corazza. Aquila e
tosone formano quasi un unico motivo centrale dal chiaro valore simbolico,
di legame intrinseco fra la Casa estense e la Casa d’Austria, specie
nel suo ramo spagnolo da cui proveniva l’onorificenza, esprimendo visivamente
l’indirizzo politico di Cesare che collocava il ducato fra gli
stati filoimperiali e filospagnoli padani.
Partendo dunque dal presupposto che lo stemma dipinto è databile,
per caratteri araldici, fra il 1605 e il 1615, epoca peraltro a pieno corrispondente,
come si vedrà, ai riferimenti stilistici espressi dal testo pittorico,
si è proceduto al vaglio delle testimonianze documentarie di
quest’arco di tempo relative ai lavori che si stavano svolgendo presso il
Castello estense di Modena, ipotizzando che un episodio artistico di tale
ambiziosa fattura e di così particolare rappresentatività araldica sia stato
realizzato per la stessa committenza ducale. Come primo dato correlabile
si rinviene, sotto la data del 1° marzo 1608 l’annotazione di un acconto
di L. 50 a Ercole dell’Abate (1562-1613), il noto esponente modenese
della tarda Maniera, assiduamente operoso per la corte ducale,
«a buon conto di dipingere la volta delli camerini di S.A.» (12). E ancora,
il 22 dicembre di quel 1608 Ercole riceverà un altro pagamento di L. 50
per la dipintura della volta di un camerino del Castello (13). In effetti, vari
altri pagamenti si susseguono in quell’arco di tempo, riferibili a lavori
edilizi e di decorazione negli ambienti dell’antico Castello estense in
occasione delle nozze tra l’erede al trono Alfonso, futuro Alfonso III, e
l’Infanta Isabella di Savoia, figlia del duca Carlo Emanuele di Savoia e
di Caterina Michela d’Austria figlia del re Filippo II di Spagna, celebrate
a Torino nel marzo del 1608, che miravano a rafforzare i legami con
Madrid. Fra gli artisti coinvolti, ricorrono i nomi di Stefano Gavasseti,
doratore, padre del più famoso Camillo; Ercole Setti (1530-1617), anziano
maestro della pittura tardo manieristica modenese; Giambattista
Spaccini che, oltre ad essere funzionario di corte, era anche pittore “dilettante”.
Accanto a questi autori locali, vengono chiamate maestranze
ferraresi, capeggiate da Giovan Battista Magnanino (14). Si registra, dunque,
un nuovo impulso nell’opera di riqualificazione, sia funzionale sia
estetica, che da vari anni andava mutando la facies medievale del Castello
per adeguarlo alle nuove esigenze di una sede di corte (15).
Lo stemma potrebbe così costituire una delle rare opere superstiti
dall’arredo dell’antico Castello estense. Poiché lo scorcio prospettico
prevede una visione di sott’in su, si ritiene che sia stato dipinto su tela
per esser riportato in un soffitto; e lo si può peraltro immaginare trattenuto
al centro di una volta da una cornice. Sovviene, per analogia,
dell’ovale su tela incastonato al centro della Sala del Vecchio Consiglio
nel Palazzo Comunale di Modena, dipinto da Ercole dell’Abate verso il
1606, con l’Allegoria del Comune e del Ducato: una coniugazione iconografica
dell’autorità municipale con il potere ducale, restituita con la
rappresentazione di un putto che sostiene un globo azzurro costellato
dai gigli dorati estensi, in atto di cavalcare un’aquila nera, anch’essa
appartenente all’araldica di Casa d’Este; l’aquila trattiene l’impresa
comunale delle due trivelle incrociate, allacciate da un nastro rosso,
mentre sottostante si snoda un cartiglio col motto ORDINE QVAEQVE
SVO (16). È dunque un testo emblematico e celebrativo – come
appunto lo stemma di Cesare d’Este – dipinto su tela ovata al centro del
soffitto di una sede di rilievo politico o amministrativo, che sembra rientrare
in una precisa tipologia che in quel primo scorcio del Seicento
annoverava, in Modena, almeno un altro esempio, di poco successivo:
l’Allegoria della Giustizia eseguita da Camillo Gavasseti (1596-1630) e
ultimata nel giugno del 1616, su possibile idea di Bartolomeo Schedoni
(1578-1615), scomparso prima di portare al termine l’opera (Modena,
Museo Civico d’Arte; in deposito nel Palazzo Comunale), già nella volta
della Residenza municipale dei Giudici alle Vettovaglie, che sorgeva
sul lato meridionale della piazza Grande, abbattuto sul finire dell’Ottocento (17).
D’altra parte, questa tipologia poteva risalire, per taluni versi, a un
illustre precedente cinquecentesco, lo stemma della Comunità modenese
intagliato, dipinto e dorato nel grande tondo al centro del soffitto
a cassettoni della Sala del Fuoco nel Palazzo Comunale, eseguito nel
1546 dall’intagliatore Giacomo Cavazza e da Ludovico Brancolini (18).
Pur senza addentrarsi in una attribuzione ad personam, non suffragata
da alcun documento specifico, a una lettura stilistica non si può non
rilevare come questo stemma di Cesare si ambienti nel clima del tardo
manierismo che ancora pervade la pittura modenese, a queste date soltanto
in parte rivitalizzata dal naturalismo di Bartolomeo Schedoni.19
Il lessico dell’ignoto autore si distanzia dal risentito plasticismo postmichelangiolesco
che enfatizza le anatomie del sassolese Domenico
Carnevali (1524-1579), ad esempio nei poderosi putti degli affreschi,
attribuitigli da Angelo Mazza, nella Camera della Cancelleria nel Palazzo
Ducale di Sassuolo (20), risalenti ancora alle imprese decorative volute
dai Pio di Savoia; subentra invece, in questa tela, una soffusa morbidezza
che plasma le forme in teneri trapassi chiaroscurali, memori dei
modi schedoniani. Anche la sigla compositiva può rammentare certe
soluzioni presenti in opere di Schedoni, ad esempio nelle coppie di putti
dipinte dal maestro nei due fregi della Sala del Vecchio Consiglio modenese,
a lato dell’ovale al centro; anche se nello stemma certamente
non è così permeante quella «umbratile naturalezza» che connota il linguaggio
schedoniano (21). Piuttosto, nei due putti in basso che reggono lo
scudo di Cesare si registrano scorci e stravolgimenti anche forzati, di
matrice ancora pienamente manieristica; ma d’altra parte, specie nei tre
fanciulli alla sommità, si percepisce una sensibilità chiaroscurale in parte
rinnovata e già protesa verso esiti di un più aggiornato naturalismo.
Convivono dunque, nello stemma, reminiscenze della Maniera accanto
ad aperture nel senso di una più accostante naturalezza. Sono coordinate
culturali che si rinvengono in ambito modenese, ad esempio,
nella personalità di un maestro quale Ercole dell’Abate, a seguito degli
influssi dovuti alla contiguità di lavoro con l’innovativo Bartolomeo
Schedoni, sia nel cantiere ducale della cappella della Natività di Maria,
fatta edificare da Cesare d’Este nell’antico Castello e consacrata l’8 settembre
1605, sia nel cantiere comunale della Sala del Vecchio Consiglio,
dove entrambi i pittori attendono alla decorazione dal 1605 al
1607. E già un’opera come l’Annunciazione della Vergine che Ercole
dell’Abate dipinge per la cappella Carandini nella chiesa di San Pietro,
a partire dal novembre del 1603, palesa questa evoluzione lessicale (22).
Si coglie dunque, nell’ovale, un ricercato contrasto tra la fissità araldica
dello scudo e la vivace ed estrosa cornice di putti: i tre al culmine
sono intenti a innalzare la corona, mentre quello al centro pure accarezza
la testa dell’aquila; la coppia sottostante, appoggiata sulle ali dell’aquila,
è impegnata a tener spiegato ciò che sembra un drappo; la
coppia in basso sostiene il Collare. L’intonazione è dunque giocosa,
come a voler stemperare in un registro umoroso, simile piuttosto alla letizia
di una gloria angelica propria di tante pale d’altare, la solennità aulica
del blasone estense, rifuggendo una più prevedibile enfasi declamatoria
per una naturale e sorridente fisicità. Un garbo vivace sostiene il
fantasioso affaccendarsi dei putti, con un esito ben raro nell’araldica
ducale, almeno sotto l’egida del tardo manierismo. È lo stesso registro
dai toni ludici che permea la citata Allegoria del Comune e del Ducato
di committenza comunale, dove il putto è salito a cavalcioni dell’aquila
estense abbracciandone il collo, così che lo spunto celebrativo appaia
dominato dalla «presenza gioiosa ed espansa di questa creatura dalle
forme piene» (23). Se questo volo dell’aquila e del putto sullo sfondo del
cielo azzurro restituisce la suggestione di un’atmosferica spazialità,
nell’addensato testo figurativo dello stemma di Cesare l’effetto tridimensionale
è tutto affidato al plasticismo tornito dei putti e al battito
chiaroscurale, che rileva l’emergere delle parti investite dalla luce,
mentre rende la profondità degli anditi in penombra.
Nella varietà sempre aggraziata e divertente delle posture si percepisce
una ricerca sintattica di equilibri, più precisamente l’adozione di
una metrica alternata: le due figure in basso, pur opposte – l’una è rivolta
all’interno, l’altra verso lo spettatore – hanno entrambe un braccio
sporgente, a sostenere il Collare, con un espediente riscontrabile nei
personaggi “di quinta” sui piani più avanzati delle composizioni della
tarda Maniera, come a invadere lo spazio “esterno” del riguardante, e in
tal modo coinvolgerlo in quello “interno” del dipinto; così, ad esempio,
nella Presentazione di Maria al tempio di Ercole dell’Abate e nello
Sposalizio della Vergine di Bartolomeo Schedoni, opere completate nel
1606 su committenza di Cesare d’Este per la citata cappella ducale della
Natività di Maria (24).
Poiché lo stemma, come s’è anticipato, si conserva attualmente nel
settecentesco Palazzo Ronchi a Monteombraro di Zocca, collocato nel
soffitto del salone, viene quindi da chiedersi come vi sia potuto arrivare,
giungendo, come si è scritto poc’anzi, da un complesso ducale, forse
quello modenese. Difficile stabilire con certezza il momento in cui
l’opera è entrata nel collezionismo della famiglia Ronchi, anche se è
possibile che il reperimento della tela sul mercato antiquariale si debba
all’ingegner Alfonso (1851-1934), proprietario del Palazzo nonché figura
fra le più importanti a Zocca fra Otto e Novecento (25). Quasi certamente,
però, è possibile affermare che al momento dell’acquisto lo
stemma si trovasse già nel territorio di Zocca o poco lontano. Nella relazione
del 13 maggio 1826, predisposta per il duca Francesco IV
d’Austria d’Este dall’Intendenza Generale dei Beni Camerali ed Allodiali,
si apprende infatti che presso l’Oratorio di San Contardo d’Este di
Zocca, «un pubblico oratorio spettante alla Podesteria di Montetortore,
che ne sosteneva gli oneri di manutenzione, (…) fino alla invasione dei
Francesi si è conservato lo stemma della Serenissima Casa d’Este» (26).
Pur nella genericità con cui è menzionato questo emblema estense nel
documento del 1826, che non consente di sottoscriverne un pieno riconoscimento
nella tela di Monteombraro, la citazione di uno stemma estense
a così poca distanza dal luogo dove si trova quello appartenente
all’Istituto Giuseppina Ronchi non può non suggerire – in via almeno
ipotetica, come proposto anche da Enrico Marchetti – che si tratti della
medesima opera. Se così fosse, questa testimonianza permetterebbe di
fissare alla fine del Settecento il momento in cui, a seguito delle vicende
napoleoniche, l’ovato sarebbe giunto sul mercato antiquario, per poi
approdare, in un momento imprecisato, nella collezione Ronchi.
Dell’oratorio di San Contardo d’Este a Zocca, atterrato
nel 1920, proprio quando era sindaco l’ingegner Alfonso Ronchi, Dante
Pantanelli e Venceslao Santi, storiografi dell’Appennino modenese
nell’ultimo scorcio dell’Ottocento, danno questa notizia storica:
Nel 1681 «nel mercato di Zocca fu dalle comunità della podesteria
di Montetortore col consenso del rettore di Montalbano, cominciato
un oratorio a pio beneficio pubblico ad effetto che le persone che ivi
andavano alli mercati et fiere avessero comodità di udire la santa
messa. Era quasi ridotto l’oratorio predetto in buon termine rispetto
alle mura esteriori et alla cappella dell’altare, ove si dovevano celebrare
li divini sacrifici non restandovi che poca muraglia da innalzare
et il tetto da perfezionare da detta cappella in avanti, quando celebrandosi
in detta la prima messa per certa elemosina offerta e smarrita
nacque pentimento nel detto rettore e discordia fra esso e le dette comunità;
per lo che d’ordine del feudatario [Montecuccoli] fu desistito
dal santo lavoriero, e così restò imperfetto l’edificio, esposto alle ingiurie
de’ tempi». Succeduto poi un nuovo rettore, (…) la comunità di
Montalbano (…) invitò le comunità della podesteria «a voler concordemente
proseguire la fabbrica (…). Al che non avendo l’altre comunità
annuito», nel 1697 gli uomini di Montalbano e gli abitanti di
Zocca con apposita supplica mossero il duca Rinaldo I ad ordinare
che la podesteria di Montetortore concorresse alle spese. Così
l’oratorio, che venne poi dedicato a s. Contardo, fu poco appresso ridotto
a componimento (27).
Potrebbe essere in questo momento, dunque, che il duca Rinaldo
d’Este concesse all’oratorio intitolato al santo della dinastia il «grande e
bello stemma degli Estensi» (28), ricordato nella relazione del 1826, che fu
forse sistemato a soffitto, riprendendo quella originaria collocazione per
cui era stato ideato, con ogni probabilità entro una dimora ducale. Pur
risalendo a circa un secolo prima, infatti, l’ovato rispecchiava ancora
l’araldica estense, mentre poteva apparire obsoleto anche nell’esecuzione
stilistica agli occhi della mondana e informata corte di Modena.

RIASSUNTO
Aspetti araldici, oltre che storici e figurativi, fanno di un inedito
stemma estense ora identificato come del duca Cesare, dipinto ad olio
su tela ovale (presso l’Istituto G. Ronchi di Monteombraro di Zocca),
una testimonianza fra le più interessanti espresse dalla corte estense
nei suoi primi anni modenesi. Dalla lettura degli elementi araldici, infatti,
lo stemma avrebbe come termini ante quem il 1615 e post quem
il 1605, se non il 1604, data in relazione al conferimento a Cesare del
Toson d’oro da parte di Filippo III di Spagna. Tale è la sua qualità che
se ne ipotizza una committenza ducale, come ovale da collocarsi a
soffitto, magari entro cornice a stucco. Non si esclude un legame con i
lavori di riqualificazione del Castello estense di quegli stessi anni, che
vedevano tra i protagonisti Ercole dell’Abate, noto maestro della tarda
Maniera locale. Pur senza addentrarsi in un’attribuzione ad personam,
lo stemma appare saggio eloquente del clima del tardo manierismo
modenese, come indicano anche i dati di stile della “cornice” di putti
che lo racchiude.

NOTE
1) L’opera, a olio su tela sagomata ovale di 200 x 120 cm, è catalogata presso l’archivio fotografico
della Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici di Modena e Reggio Emilia
con una datazione alla seconda metà del XVIII secolo. In apertura di contributo si desidera rivolgere
un sentito ringraziamento ad Angelo Mazza e a Licia Beggi Miani; a Enrico Marchetti, del
Comune di Zocca; a don Anselmo Manni, parroco di Monteombraro; e a don Luca Fioratti, parroco
di Zocca. Un particolare ringraziamento, poi, a Graziella Martinelli Braglia, per avere amichevolmente
condiviso i temi di questo intervento con chi scrive.
2) Per la descrizione dello stemma e per le successive annotazioni di carattere araldico si è fatto riferimento
al contributo di studio di SPAGGIARI A., Gli stemmi degli estensi regnanti, in SPAGGIARI
A., TRENTI G., Gli stemmi estensi ed austro-estensi. Profilo storico, Modena 1985, pp. 49-60, in
particolare le pp. 54-57, opera fondamentale non solo per la conoscenza dell’araldica estense, ma
anche prezioso supporto per la cronologia di opere e di situazioni.
3) Si tratta del frontespizio della Poetica di Francesco Patrizi, pubblicato a Ferrara nel 1586, riprodotto
in Frescobaldi e il suo tempo nel quarto centenario della nascita, catalogo della mostra (Ferrara,
Palazzo dei Diamanti), Venezia 1983, p. 19, e menzionato a questo proposito in SPAGGIARI
1985, cit., p. 57, n. 30.
4) Per le vicende della devoluzione di Ferrara alla Chiesa si rimanda a AMORTH L., Modena capitale,
Modena, 1998, pp. 8-10 e 23-28.
5) SPACCINI G., Cronaca di Modena. Anni 1603-1611, a cura di BIONDI A., BUSSI R., GIOVANNINI
C., Modena 1999, p. 140, 19 ottobre 1604.
6) SPACCINI, cit., p. 140, 22 ottobre 1604. Inoltre si vedano: SPAGGIARI 1985, cit., p. 56, n. 29;
SPAGGIARI A., in FERRARI P.V. (a cura di), Ducato di Modena e Reggio 1598-1859. Lo stato la
corte le arti, Modena 2007, p. 73: ivi Spaggiari ribadisce che «solo dopo il 1605, in seguito ad apposita
concessione del Re di Spagna, lo stemma ducale venne decorato dalle insegne dell’Ordine
del Toson d’oro».
7) SPACCINI, cit., p. 148, 18 dicembre 1604.
8) PAPOTTI F.I., Annali o Memorie storiche della Mirandola, in CERETTI F. (a cura di), Memorie
storiche della città e dell’antico ducato della Mirandola, t. I, dal 1500 al 1673, Mirandola 1876,
pp. 89-90. Va rilevato che la Cronaca di Giambattista Spaccini non offre supporto circa la cerimonia
del conferimento del Tosone, presentando una lacuna dal 10 settembre 1605 al 27 gennaio 1606.
9) SPAGGIARI 1985, cit., p. 57, n. 30.
10) SPAGGIARI 1985, cit., p. 57, n. 35.
11) ZERI F., Pittura e controriforma. L’«arte senza tempo» di Scipione da Gaeta, Torino 1957 (ed.
cons. Vicenza 1997, pp. 12-13).
12) Archivio di Stato di Modena, Mandati in volume, b. 74, 1 marzo 1608; menzionato in BARACCHI
GIOVANARDI O., Arte alla corte di Cesare d’Este, in «Atti e Memorie della Deputazione di Storia
Patria per le Antiche Provincie Modenesi», s. XI, vol. XVIII (1996), pp. 153-193, in particolare p. 169.
13) BARACCHI GIOVANARDI, cit., p. 171.
14) BARACCHI GIOVANARDI, cit., pp. 169-171.
15) VON BERGEIJK H., La prima metà del Seicento: dal castello al Palazzo, in BIONDI A. (a cura di),
Il Palazzo Ducale di Modena. Sette secoli di uno spazio cittadino, Modena 1987, pp. 171-201, in
particolare pp. 179-180.
16) GUANDALINI G., in GUANDALINI G. (a cura di), Il Palazzo Comunale di Modena. Le sedi, la città,
il contado, Modena 1985, p. 152.
17) PERUZZI L., Scheda n. 35, in BENATI D., PERUZZI L., Museo Civico d’Arte. I dipinti antichi,
Modena 2005. pp. 64-66.
18) GUANDALINI, cit., p. 152.
19) MARTINELLI BRAGLIA G., La cappella Carandini nella chiesa di San Pietro a Modena. Dipinti
di Ercole dell’Abate ed Ercole Setti, in «Atti e Memorie della Deputazione di Storia Patria per le
Antiche Provincie Modenesi», s. XI, vol. XXXII (2010), pp. 63-95.
20) MAZZA A., Affreschi riscoperti dell’antico Castello dei Pio: Domenico Carnevali? in «QB –
Quaderni della Biblioteca», 4 (2000), pp. 101-113; si veda anche il particolare dell’affresco, raffigurante
un Putto, riprodotto in TREVISANI F. (a cura di), Il Palazzo di Sassuolo Delizia dei Duchi
d’Este, Parma 2004, p. 79.
21) GUANDALINI G., in Il Palazzo Comunale, cit., p. 152.
22) MARTINELLI BRAGLIA, cit; FERRIANI D., Osservazioni durante il restauro e considerazioni intorno
all’Annunciazione di Ercole dell’Abate come episodio d’arte, in «Atti e Memorie della Deputazione
di Storia Patria per le Antiche Provincie Modenesi», s. XI, vol. XXXII (2010), pp., cit.,
pp. 97-102.
23) GUANDALINI, cit., p. 152.
24) MANCINI G., in BENTINI J. (a cura di), Sovrane Passioni. Le raccolte d’arte della Ducale Galleria
Estense, catalogo della mostra (Modena, Galleria Estense), Milano 1998, pp. 234-236.
25) Quella dei Ronchi è un’antica e notabile famiglia, derivata da quella dei Monzali, di cui mutarono
il cognome sulla metà del Cinquecento, ripartita in quattro linee di discendenza, ciascuna di esse
con personaggi di rilievo nell’area orientale della montagna modenese. I Ronchi del palazzo di
Monteombraro appartennero al ramo di Giovanni Sabatino (m. 1790), capitano delle milizie ducali.
Per rifarsi alle ascendenze più recenti, Luigi Ronchi (n. 1808), trasferitosi a Modena, ricoprì il
grado di tenente nell’esercito ducale; sposò Teresa, figlia dell’avvocato Giacomo Mattioli Bertacchini,
e dal matrimonio nacquero Giuseppe (1838-1887), sacerdote, Giovanni (1840-1927), pure
sacerdote e docente nel Collegio Borelli di Ferrara, Alfonso (1851-1934), laureatosi in ingegneria,
e Giuseppina (1857-1940), che lasciò parte dei suoi beni all’Istituto San Carlo di Monteombraro e
parte alla parrocchia del paese, con l’obbligo di costruire un asilo; a lei è intitolato l’Istituto che ha
sede nel Palazzo Ronchi. L’ing. Alfonso fu sindaco della cittadina e sotto il suo mandato fu costruita
l’odierna parrocchiale in gran parte su suo progetto, che venne ultimata nel 1929; fu commendatore
dell’Ordine pontificio di San Gregorio Magno, e ricevette da re Vittorio Emanuele III
l’Ordine della Corona d’Italia. Destinò parte delle sue proprietà alla costruzione di un asilo a Zocca
e il rimanente alla parrocchia. Si veda: DODI F., DODI R., Le famiglie storiche di Montalbano, in
CENTRO STUDI S. CONTARDO D’ESTE (a cura di), Montalbano. Storia di una Comunità, Modena
2010, pp. 117-155, in particolare pp. 143- 148, a cui si rimanda per le notizie sulla famiglia Ronchi.
26) BEGGI MIANI L., San Contardo d’Este. L’Oratorio Pubblico a Zocca, Modena 2004, p. 30. Devo
questa segnalazione alla cortesia di Enrico Marchetti e di Licia Beggi Miani, studiosi della storia
di questo territorio appenninico.
27) PANTANELLI D., SANTI V., L’Appennino modenese descritto ed illustrato, Rocca San Casciano
1895 (ristampa anastatica Ozzano Emilia 1996, vol. 5, pp. 1140-1141). Sull’oratorio, oltre a BEGGI
MIANI, cit., si veda anche GRASSELLI E., L’oratorio pubblico di San Contardo d’Este in Zocca, in
«Rassegna Frignanese», 35 (2005), pp. 309-315.
28) BEGGI MIANI, cit., p. 25.
Adeodato Malatesta
 
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Re: Stemma Estense

Messaggioda Tilius » mercoledì 19 dicembre 2012, 8:22

Adeodato Malatesta ha scritto:...Clemente VII...

Clemente VIII. ;)
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Re: Stemma Estense

Messaggioda AndreaSperelli » mercoledì 26 dicembre 2012, 0:49

Adeodato Malatesta ha scritto:[...]
Acc. Naz. Sci. Lett. Arti di Modena
Atti e Memorie
Ser. VIII, v. XV (2012), fasc. I, pp. 187-203.

Luca Silingardi
UN INEDITO STEMMA DI CESARE D’ESTE

[...]
A margine degli studi sulla figura di Cesare d’Este, suggeriti
dall’acquisizione del suo splendido Ritratto da parte dell’Accademia
Nazionale di Scienze, Lettere e Arti di Modena, si rende noto un inedito
e importante stemma di questo duca, di recente individuato presso l’Istituto
[...]


A onor del vero fu da me individuato ben due anni prima ;) .

A.S.
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